Carlotta Oggioni presenta il metodo Suzuki

Incontro con CARLOTTA OGGIONI

In un tempo in cui l’avvio in Italia dell’Esposizione Universale ci impone la riflessione su quale siano effettivamente e nostre vere eccellenze, credo sia necessario estendere la visuale soprattutto su quelle straordinarie situazioni che vivono e prolificano sul nostro territorio. Carlotta Oggioni, giovane lissonese, lavora nell’ambito teatrale da anni e come spesso accade in Italia la sua passione e la sua professionalità ha trovato autorevoli sbocchi soprattutto all’estero, grazie anche alla volontà inesauribile rivolta allo studio e all’incessante voglia di crescere.

Recentemente il suo lavoro l’ha portata a vivere un’esperienza particolarmente interessante e unica nel suo genere in Giappone, per questo motivo ho voluto incontrarla per farle raccontare e rendere pubblica una storia nuova relativa al cosiddetto metodo Suzuki.

-Come è iniziata questa tua recente avventura in Giappone?IMG_0560

Avevo da poco terminato il liceo e desideravo intraprendere in modo professionale una passione che fino a quel momento era stata solo accennata e amatoriale. Ero alle prime armi, avevo solo frequentato dei corsi di recitazione per ragazzi. Mi guardai intorno un po’ spaesata sulla strada da percorrere finché la mia attenzione non fu totalmente assorbita da un seminario su un metodo di recitazione di un maestro e regista giapponese: Tadashi Suzuki. Era tenuto da colui che sarebbe diventato il mio insegnante e successivamente regista di svariati spettacoli, Mattia Sebastiano Giorgetti. Inizialmente non compresi le potenzialità di questo metodo né la preziosità di ciò che mi si stava rivelando. Avevo solo la percezione che lì dentro si nascondesse qualcosa di esplosivo, la schiusura della quale avrebbe potenzialmente potuto mostrarmi la via del teatro, il suo segreto dal punto di vista più pratico e insieme più estatico.

–  Quando hai sentito dentro di te la necessità di partire per il Giappone?

IMG_0243Dopo aver frequentato l’accademia professionale del CTA di Milano e aver quindi approfondito lo studio del metodo durante le lezioni, avendo continuato il training anche una volta diplomata almeno con una frequenza settimanale e frequentando abitualmente ogni seminario organizzato  su questo, capii che era diventata per me impellente la necessità di andare alle fonti del metodo, vedere coi miei occhi che cosa davvero fosse praticato dalla SCOT e insegnato dal maestro che tale metodo lo aveva creato. Ho così deciso di mandare la mia candidatura per poter frequentare un workshop estivo presso Toga, il villaggio sede della compagnia, nel cuore delle montagne a nord-ovest di Tokyo, nella prefettura di Toyama. Tra centinaia o probabilmente migliaia di richieste di partecipazione sono stata selezionata e sono quindi partita per questa avventura tra l’eccitazione e il terrore. Ho partecipato a questo tipo di studio per due estati consecutivi, condividendo questa forte esperienza con talentuosi attori nonché straordinarie persone provenienti da ogni parte del mondo, ognuno dei quali si portava dietro uno specifico bagaglio culturale e artistico che si trasportava nel training e nell’approccio stesso al lavoro, allo studio. Solo respirare l’aria di Toga, fucina e ritrovo di artisti di tutto il mondo, di Festival di teatro orientali e internazionali, mette l’attore in una condizione di massima recettività artistica, dà la possibilità di assorbire e di trarre ispirazione dal talento, la dedizione, l’energia e la costanza di questi artisti che dagli anni ’70  stanno dedicando a Suzuki San e alla sua visione anticonvenzionale del teatro e dei suoi spazi, la più sincera e profonda devozione. E’ stato infatti nel decennio precedente che il Maestro, insieme alla sua compagna universitaria Akiko Saito con la quale condivideva il sogno di un teatro lontano dagli ingranaggi economici della capitale e del teatro convenzionale (tutto incentrato su grandi capitali e la soddisfazione delle richieste del pubblico),  fondarono la compagnia teatrale Waswda Shogeikijo stabilendone la sede al secondo piano di un caffè di Tokyo e spostandosi poi definitivamente a toga nel 1976. L’idea era quindi in entrambi i progetti, quello di non sottomettersi alle strutture culturali dominanti in quegli anni, riportando il teatro alle sue origini, (quando era tutto incentrato sulle idee e non sui capitali), lontano dalle strutture imperanti della capitale, isolarsi sia idealmente e artisticamente da esse, che fisicamente, allontanandosi il più possibile dalla metropoli. Si può infatti avvertire stando in mezzo a questo ambiente, che esiste un continuum tra la natura e la creazione artistica, una simmetria tra la vita e il movimento degli elementi esterni e la dinamica interna alla compagnia, intesa come produttrice instancabile di spettacoli e di energia creativa, guidata con fermezza e visionarietà dal creatore di questo impero.

– E’ così che giungiamo in concreto al metodo Suzuki, ma a livello pratico, in che cosa consiste?

Il training consta di sei esercizi da eseguire in successione fissa che stimolano ed innalzano progressivamente l’energia, il controllo su ogni parte del proprio corpo e sul respiro, la concentrazione, la presenza scenica, la potenza e l’emissione vocale e l’equilibrio, tanto esteriore quanto interiore, la staticità. Gli stessi si possono praticare ad ogni livello di esperienza, ma la magia e la forza di questo training è che dà all’attore la possibilità di mettersi alla prova, attraverso ogni sessione, ciascuna delle quali è proseguimento della precedente ma è anche totalmente indipendente, in una costante scoperta di nuovi limiti in continua dinamica. Non può esserci inganno: questo training è una manifestazione di ciò che sta accadendo dentro all’attore, un check costante del punto evolutivo in cui si trova, uno specchio di ciò che sarà e porterà in scena

– quando tempo  sei rimasta in Giappone?

FullSizeRenderDal 2013 Suzuki San ha fondato la ISCOT (la SCOT internazionale), che, a differenza della compagnia stabile, (composta prevalentemente da membri fissi Giapponesi che vivono nel villaggio per la quasi totalità dell’anno, dividendo le loro giornate tra training, prove di spettacoli e mantenimento pratico della vita della compagnia e delle abitazioni in cui vivono), vive l’esperienza di toga, un paio di mesi in inverno e un paio in estate. La compagnia conta momentaneamente al suo interno membri provenienti da Cina, America, Italia, Danimarca, Lituania, Australia con la possibilità che questi siano allargati. La visionarietà del progetto sta nel fatto che ognuno degli attori reciti nella sua lingua madre, offrendo quindi uno spettacolo davvero poliglotta e globale. I testi che Tadashi Suzuki propone al regista che è stato designato per guidare la compagnia (Mattia Sebastiano Giorgetti) sono molto adatti al trattamento inedito della lingua e della comunicazione intrinseco a una compagnia poliglotta. Essi fanno infatti parte del repertorio del teatro dell’assurdo, conosciuto per aver ribaltato e rifiutato la consequenzialità logica del teatro e del linguaggio tradizionale, mettendo in evidenza, tramite dialoghi ripetitivi e senza senso, l’incapacità comunicativa degli uomini e l’insensatezza della vita stessa.  Nella prima stagione del progetto (2013) è stata messa in scena “La cantatrice calva” di Ionesco e l’anno scorso “ L’architetto e l’imperatore di Assiria” di Arrabal. Io ho avuto l’onore e il privilegio di poter assistere alle prove di quest’ultima produzione sia nella sessione invernale che in quella estiva, prendendo anche parte alle prove e allo spettacolo finale al Festival del teatro ad agosto 2014.                                                

Come è stata la tua esperienza a Toga?

Le giornate a Toga sono molto piene, non c’è spazio per perdere tempo e dedicarsi al riposo. Dalla sveglia si inizia a lavorare, a fare qualsiasi attività sia necessaria in quel momento per sgravare l’impegno dei membri della SCOT: si fanno dei turni anche per preparare la colazione o il brunch per tutta la comunità di attori, si pulisce, si sistema fa il training sia con la SCOT sia training di compagnia più focalizzato sulle esigenze delle prove o dello spettacolo. Si preparano le scenografie o gli oggetti di scena necessari e naturalmente prove, talvolta studio autonomo, più spesso tutti insieme. Non c’è una divisione interna dei compiti, ognuno deve saper fare tutto e apportare il suo aiuto prima che sia necessario o che venga richiesto. E’ di certo una delle esperienze più piene, significative e straordinarie che si possano fare nella vita sia professionale che personale.

 

 

di Alberto  Moioli

 

 

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